Ente
Il Popolo Biellese
- Il Popolo Biellese - Bisettimanale fascista (altra denominazione di autorità)
Data: agosto 1922 - luglio 1943
- Link esterni
- Luoghi di attività
- Luogo:
- Biella
- Storia istituzionale
- Il giornale fu fondato nell'agosto del 1922 da Vittorio Sella (1890-1952).
"Il Popolo Biellese" era nato come atto di presenza del fascismo nel Biellese, dove nel 1922 si contavano non più di un centinaio di fascisti ed avanguardisti. L'avvio economico della testata fascista non fu facile, perché gli industriali non si impegnarono finanziariamente sul piano locale che a fascismo affermato.
Il volontariato animava l'iniziativa: la redazione era costituita da quattro persone, che cumulavano tutte le funzioni dell'impresa giornalistica. Il problema maggiore era però quello tecnico, della stampa del giornale.
"Il Popolo Biellese" difatti peregrinò per un certo tempo da una tipografia all'altra: lo stamparono la tipografia Amosso, quella dei Waimberg (di origine israelitica), lo stabilimento tipografico Industria et Labor, di proprietà dell'Associazione industriali, e, infine, l'Unione Biellese (la tipografia del giornale cattolico "Il Biellese"), finché non dispose delle moderne attrezzature della Sateb (Società anonima tipografica editoriale biellese). La Sateb, contrariamente a quanto venne creduto, appartenne non già al Partito fascista ma a un gruppo di azionisti fascisti (sei in tutto), fra i quali il segretario pro tempore del Fascio di Biella, professor Lino Bubani e il proprietario de "Il Popolo Biellese", Vittorio Sella. Lo stabilimento tipografico della Sateb era stato rilevato da una certa signora Bertola, che a suo tempo aveva acquistato l'antica Tipografia dell'ospizio di carità. Senza dubbio l'operazione finanziaria ebbe potenti padrini del regime se la Sateb, nel 1937, poté avviare la ristrutturazione dell'antico stabilimento con la direzione tecnica del "proto" dell'Unione Biellese, l'impianto di ben tre linotype e di una macchina da stampa per quotidiani, una "Rotoplana", che il redattore capo de "Il Popolo Biellese", ed ormai deus ex machina dei mass-media fascisti biellesi, Rodolfo De Bernardi, aveva acquistato da "Il Popolo Toscano" di Lucca. In partenza, la redazione del giornale s'era allogata nella sede del Fascio di Biella, al numero 6 di via Pietro Micca; poi s'era trasferita appunto alla Sateb in via Quintino Sella.
"Volendo, i quattrini si sarebbero potuti trovare, ma Vittorio Sella, direttore politico, direttore amministrativo, produttore pubblicitario, continuava ostinatamente a respingere le premurose offerte di individui troppo interessati ad acquistarsi delle benemerenze in campo fascista", scriverà De Bernardi in un articolo celebrativo del ventennale del foglio, ma si trattava di una versione "edificante" anche se sostanzialmente veritiera, della difficile partenza del giornalismo fascista e persino del fascismo biellese. Del resto, come si è detto, gli industriali biellesi erano parchi con i fascisti biellesi, e quando non erano attendisti praticavano il finanziamento diretto delle sole personalità del fascismo nazionale che contavano più dei locali.
A definire, simbolicamente, la nebulosa delle velleità e dei condizionamenti culturali in cui il giornale nasceva ed a cui non poteva sottrarsi, giova aggiungere che "alla parete della redazione erano affissi i ritratti del duce, di Corridoni e di Mazzini". Un richiamo d'obbligo al radicalismo populista del Biellese operaio in contrapposizione alla tradizione socialista.
La funzione de "Il Popolo Biellese" fu quella specializzata del "giornale fascista", portatore delle parole d'ordine del regime e delle interpretazioni fasciste della vita quotidiana biellese.
Per rendersi conto di come "Il Popolo Biellese" si sia inserito nella linea e nel costume informativi locali, basta osservare che il Biellese, fin dal secolo scorso, è patria elettiva di quella formula "svizzera" del giornalismo di informazione che è il "plurisettimanale", come "giornale integrativo locale" del quotidiano (non perciò come sostitutivo o come specialistico "secondo giornale").
Il giornale fascista biellese fu la ripetizione grafica, strutturale, contenutistica de "Il Popolo d'Italia". Si articolava però su sei colonne anziché sulle convenzionali nove (a causa della composizione a mano, perché a Biella fino all'ammodernamento della Sateb non esistettero linotype, eccezion fatta per la tipografia della curia dove si stampava il bisettimanle cattolico e dove solo per un certo tempo venne concesso di stampare a "Il Popolo Biellese"). Anche la distribuzione dei materiali, secondo la concezione grafico-gerarchica del quotidiano tipo del tempo venne ripetuta da "Il Popolo Biellese": in prima pagina l'autorità opinionale veniva ora affidata al "fondo", se si trattava di distribuire idee e parole d'ordine, ora all'articolo di centropagina col titolo a più colonne, se si doveva "far parlare" i fatti, mentre agli articoli di spalla era consegnata la funzione "attizza odio" del "corsivo". Negli anni trenta, la "terza pagina" venne spesso coltivata col ricorso al classico elzeviro (a volte mutuato dall'Agenzia Stefani o da altre testate fasciste), con l'intervento di collaboratori che già scrivevano in "Illustrazione Biellese", affiancati dall'occasionale esibizionismo dei professori delle scuole superiori in un fiorire di reprint storiografici e di bozzettismo locale (il folklorismo e il neoantropologismo di derivazione selliana della Majoli-Faccio, l'operaismo deamicisiano di Hedda, pseudonimo di Lucia Maggia, una maestrina di Cossato cresciuta alla scuola di Ada Negri) e con la convalida operaistica della puntuale trascrizione degli scritti di attualità che Rinaldo Rigola veniva pubblicando in "I Problemi del Lavoro". In altre pagine trovano spazio le corrispondenze dagli ottantadue comuni del circondario, le cronache dell'economia e del lavoro, le rubriche del Partito fascista.
"Il Popolo Biellese", dopo la "partenza fascista" e militante del '22, occupò l'area assai vasta dei lettori moderati che non trovavano nel bisettimanle cattolico concorrente il foglio locale di loro gradimento. Del resto "Il Popolo Biellese" aveva alle spalle una lunga tradizione di giornalismo locale moderato e filopadronale, che risaliva addirittura (attraverso l' "Eco dell'Industria", "Il Risveglio", "La Tribuna Biellese") al primo settimanale biellese, il liberale "Eco del Mucrone" del 1854.
"Il Popolo Biellese", nato a otto pagine, spesso raggiungeva le sedici, mediamente però usciva in dieci. Il suo ultimo numero coincise con la fine del regime nel luglio 1943. La testata venne mutata in "Il Lavoro Biellese" come organo del Fascio repubblicano, dal 1943 al 1945, con la direzione di Umberto Savio e Rodolfo De Bernardi
(tratto dall'articolo Aspetti di politica culturale nel Biellese degli anni trenta di Marco Neiretti)