Inventario
Oggetto
Marco Calderini - Maria Poma
Data: 1920 ca. - 1920 ca.
analisi stilistica
Indicazioni sul soggetto
Ritratto di donna, seduta in ambiente domestico.
In un interno privato, un’elegante figura femminile siede su una poltrona di legno rivestita di velluto rosso e guarda lo spettatore. Sobri ma preziosi gioielli, una candida veste di seta e organza ricamata e un’impeccabile acconciatura tradiscono il contesto sociale di questa donna che, con molta grazia, tiene nella mano destra un ventaglio richiuso. Si tratta di Maria Poma (1875-1953), ritratta agli inizi del Novecento da Marco Calderini, pittore molto apprezzato nel contesto artistico piemontese dell’epoca, che qui si dedica a un genere poco usuale per lui che, invece, eccelleva nella pittura di paesaggio. Il dipinto, entrato nelle collezioni museali grazie alla donazione degli eredi del pittore (2007), ci restituisce l’effige di una delle principali donatrici del Museo, che idealmente si è ritrovata a ricongiungersi, negli spazi museali, con i dipinti collezionati insieme al marito Enrico Guagno.
Figlia di Giuseppe Poma, grande industriale del cotone che insediò la propria attività nell’area dell’antico convento di San Domenico al Piazzo, Maria ebbe fin dalla giovinezza una vita agiata e non estranea all’arte, passione che poi condivise con il consorte fino alla morte. Non solo ebbero la lungimiranza di legare la propria collezione d’arte all’istituzione museale cittadina, ma furono impegnati anche in azioni filantropiche di sostegno agli orfanotrofi e alle scuole municipali. Anche la grande villa al Piazzo, dimora biellese dei coniugi, alla loro morte, per loro espressa volontà, venne destinata all’ordine delle suore del Sacro Cuore di Gesù, per l’istituzione di un pensionato femminile.
Figlia di Giuseppe Poma, grande industriale del cotone che insediò la propria attività nell’area dell’antico convento di San Domenico al Piazzo, Maria ebbe fin dalla giovinezza una vita agiata e non estranea all’arte, passione che poi condivise con il consorte fino alla morte. Non solo ebbero la lungimiranza di legare la propria collezione d’arte all’istituzione museale cittadina, ma furono impegnati anche in azioni filantropiche di sostegno agli orfanotrofi e alle scuole municipali. Anche la grande villa al Piazzo, dimora biellese dei coniugi, alla loro morte, per loro espressa volontà, venne destinata all’ordine delle suore del Sacro Cuore di Gesù, per l’istituzione di un pensionato femminile.