Inventario
Oggetto
Lorenzo Delleani - Baracca-legnaia sotto la capanna Gnifetti
Data: 1900 - 1900
data
Indicazioni sul soggetto
Legnaia della Capanna Gnifetti sotto la neve con due figure maschili.
Il quadro è da mettere in riferimento al dipinto "La balconata della Capanna-osservatorio "Regina Margherita", per quanto riguarda la provenienza e la storia espositiva. Il soggetto di questo paesaggio alpino è rappresenta to dalla baracca-legnaia sotto la Capanna Gnifetti, come specifica A. Dragone nella reintitolazione dell'opera giunta al museo con il titolo "Capanna Gnifetti", all'interno della sua monografia su Delleani.
Le due grandi tele, di identiche dimensioni e nate in pendant, presentano molteplici elementi di interesse e specificità che ne fanno un unicum nella carriera dell’artista di Pollone. Dipinte in studio sulla base di fotografie fra il 1894 e il 1900 (cfr. il testo di Filippo Timo in questo volume), eleggono a soggetto due piccole strutture in legno costruite sul
massiccio del monte Rosa. L’artista adotta un campo di media ampiezza per la ‘legnaia’ e un taglio ancora più ravvicinato per la ‘capanna’. La scelta di queste inquadrature esprime la volontà di raccontare non la montagna in sé,
come molte altre volte Delleani aveva fatto con le Alpi biellesi, ma la presenza umana su quella montagna e il significato simbolico che essa riveste. Due piccolissimi e apparentemente insignificanti fabbricati in legno sono i protagonisti di queste tele in quanto emblema della conquista delle vette: eretti ad altissima quota, sono la concretizzazione del progresso e della forza della civiltà moderna, di cui il pittore diventa cantore. Due tele, dunque, dal valore celebrativo, fortemente legate al presente. In quest’ottica, è rilevante l’ipotesi di Angelo Dragone, il maggiore studioso di Delleani, che identificava i dipinti come le opere esposte dal pittore nello spazio del Club Alpino Italiano all’Esposizione universale di Parigi del 1900 (Delleani avrebbe dovuto partecipare all’esposizione parigina nello spazio della Corporazione dei pittori e scultori italiani, che tuttavia non fu allestito: per questo ripiegò su
una partecipazione ridotta a due sole opere, ospitate dal CAI e di identificazione non certa). I due quadri appartenevano al biellese Silvio Cantono e nel 1966, dopo la morte di quest’ultimo, vennero donati alla città dalla sua vedova, Mariuccia.
Le due grandi tele, di identiche dimensioni e nate in pendant, presentano molteplici elementi di interesse e specificità che ne fanno un unicum nella carriera dell’artista di Pollone. Dipinte in studio sulla base di fotografie fra il 1894 e il 1900 (cfr. il testo di Filippo Timo in questo volume), eleggono a soggetto due piccole strutture in legno costruite sul
massiccio del monte Rosa. L’artista adotta un campo di media ampiezza per la ‘legnaia’ e un taglio ancora più ravvicinato per la ‘capanna’. La scelta di queste inquadrature esprime la volontà di raccontare non la montagna in sé,
come molte altre volte Delleani aveva fatto con le Alpi biellesi, ma la presenza umana su quella montagna e il significato simbolico che essa riveste. Due piccolissimi e apparentemente insignificanti fabbricati in legno sono i protagonisti di queste tele in quanto emblema della conquista delle vette: eretti ad altissima quota, sono la concretizzazione del progresso e della forza della civiltà moderna, di cui il pittore diventa cantore. Due tele, dunque, dal valore celebrativo, fortemente legate al presente. In quest’ottica, è rilevante l’ipotesi di Angelo Dragone, il maggiore studioso di Delleani, che identificava i dipinti come le opere esposte dal pittore nello spazio del Club Alpino Italiano all’Esposizione universale di Parigi del 1900 (Delleani avrebbe dovuto partecipare all’esposizione parigina nello spazio della Corporazione dei pittori e scultori italiani, che tuttavia non fu allestito: per questo ripiegò su
una partecipazione ridotta a due sole opere, ospitate dal CAI e di identificazione non certa). I due quadri appartenevano al biellese Silvio Cantono e nel 1966, dopo la morte di quest’ultimo, vennero donati alla città dalla sua vedova, Mariuccia.