Inventario
Oggetto
Pittore lombardo-piemontese - Serie di Apostoli e velario con centauro
Data: 1070 - 1090
analisi stilistica
Indicazioni sul soggetto
Diversi frammenti staccati dal catino absidale
Gli affreschi dell'abside di Santa Maria di Castelvecchio a Mongrando sono segnalati dal Maffei nelle Antichità Biellesi, nella guida di Pertusi e Ratti, che dà indicazioni precise anche sulla situazione dei muri della chiesa e alla voce Mongrando nell'Elenco degli Edifici Monumentali, III, Provincia di Novara, del Ministero della Pubblica Istruzione. Tuttavia suscitano l'interesse della critica soltanto dopo che nel 1931 vengono riscoperti durante i lavori di sterro intorno ai ruderi del castello condotti dall'Ispettore Onorario della Sovrintendenza prof. Stefano Vigna. Segnalati dalla Gabrielli nel 1938, schedati e riprodotti fra le Pitture romaniche in Piemonte, vengono letti come un unico complesso, senza distinguere tra abside e arco trionfale, e come espressione di uno stile e di una cultura omogenei. La datazione proposta dalla studiosa oscilla tra X e prima metà dell'XI secolo, per i confronti con gli affreschi della conca absidale di San Vincenzo a Galliano, benchè già nel 1917 il Kingsley Porter avesse suggerito una datazione intorno al 1070 per l'architettura dell'abside. Gli altri studiosi, dalla Brizio, allo Sciolla, alla Segre Montel, a Bertelli, preferiscono tener conto della probabile datazione della costruzione della chiesa, collocando gli affreschi nell'ultimo quarto dell'XI secolo o all'inizio del XII. Questi studiosi, peraltro, al contrario della Gabrielli, si sono soffermati soprattutto sulle figure degli Apostoli, cioè sugli affreschi della conca absidale, suggerendo confronti stilistici e culturali con i cicli di Oleggio e di Sessano (Chiaverano) in Piemonte, e con i cicli lombardi della seconda metà dell'XI secolo. Un apporto decisivo per riprendere con chiarezza la questione è stato dato da G.Romano: egli distingue infatti due fasi nella decorazione della chiesa di Santa Maria di Castelvecchio, una più antica, relativa alla conca absidale, fine XI secolo, ed una successiva di almeno un secolo, relativa all'arco trionfale. La distinzione, utile e stilisticamente convincente, permette di considerare i frammenti provenienti dalla conca absidale come un ciclo a sè e tentare una ricostruzione dell'insieme su basi culturalmente omogenee. La ricostruzione non è tuttavia un problema semplice neppure dal punto di vista tecnico, poichè mancano i rilievi della situazione precedente lo strappo degli affreschi effettuato nei mesi estivi del 1950 (vedi corrispondenza tra il sindaco di Biella, il direttore della Biblioteca e del Museo, Torrione, la Soprintendente Gabrielli e il restauratore) e l'operatore Ottemi Della Rotta non stese alcuna relazione sul suo intervento. Non solo, ma il trasporto su tela e il montaggio su telai è stato fatto riducendo a superfici piane anche le superfici in origine stese su pareti curve o su pareti ad angolo, il che riduce non solo la leggibilità stilistica dell'insieme, ma rende difficile immaginare il corretto rapporto tra le parti dipinte e tra queste e l'architettura. Gli elementi a disposizione non sono molti: le fotografie Pedrini del 1938 e del 1942, in parte pubblicate dalla Gabrielli, dalla De Bernardi Ferrero e dal Lebole, che mostrano insieme ai frammenti di affresco anche parti di muro riconoscibili, le fotografie dell'abside vista dall'esterno, il rilievo della pianta e del disegno delle pareti fatto dalla De Bernardi Ferrero. A questi si può aggiungere la nota con cui Gabrielli accompagna il 4/12/1950 due fatture del restauratore Della Rotta inviate al Sindaco di Biella. Lo strappo ha riguardato una superficie molto più ampia del previsto: agli 8,95 mq preventivati, se ne sono aggiunti altri 5, 55" di affreschi (nascosti dalla muratura o interrati) scoperti in seguito al mio preciso ordine di demolizione delle strutture sovrapposte e allo scavo attorno alla zona dell'abside". Il confronto tra le fotografie Pedrini e i frammenti in Museo permette di riconoscere le parti scoperte in questa fase (1950): le parti inferiori degli Apostoli descritti, i tre frammenti di velario, e probabilmente la parte di figura descritta nella scheda OA01aa009. La nota della Gabrielli e il confronto con la consueta iconografia della decorazione delle absidi romaniche ci confermano che gli affreschi erano disposti su due fasce, quella inferiore occupata dal velario e quella superiore, corrispondente alle finestre e limitata in origine dalla calotta absidale, comprendente i dodici Apostoli.