Inventario
Oggetto
Bartolomeo Guidobono - Memento mori
Data: 1675 - 1699
analisi stilistica
Indicazioni sul soggetto
Un putto nudo addormentato è sdraiato, con il volto ripreso di scorcio e le braccia appoggiate a un teschio, che compare in primo piano, e a una clessidra, di cui è visibile sono un particolare. La gambetta sinistra si appoggia a un secondo teschio, mentre sullo sfondo, in penombra, si notano una faretra, un candeliere, foglie di quercia e un libro.
Come le altre opere della collezione Masserano il dipinto fu alloggiato nei locali dell'Istituto Professionale "Q. Sella" di Biella prima dell'aprile del 1921 e quindi depositato presso il Museo Civico fra il 1939 e il 1942. In un elenco dei dipinti provenienti dalla collezione Poma-Masserano redatto dall'avvocato Ettore Pistono nel 1942 l'opera viene citata al n. 5 come "Bambino dormiente su teschio", "attribuita a Rubens" e valutata (con correzione a penna) 14.000 lire, in assoluto la cifra più alta. Nel 1954 Amellone registra un cambiamento del soggetto, ora identificato come "Allegoria della vita", e un più attendibile riferimento attributivo al ligure Valerio Castello. Tale sistemazione viene accettata ancora in anni recenti, seppure in forma dubitativa, anche da Sciolla, che però identifica il soggetto come "Memento mori". La immeritatamente breve fortuna critica del dipinto evidenzia innanzitutto qualche difficoltà nella identificazione del soggetto, che si presenta in effetti in una forma composita. Nel bimbo è infatti riconoscibile, per l'attributo della faretra deposta dietro al suo capo, Amore dormiente; gli altri oggetti raffigurati (il teschio, il candelabro, la clessidra e il libro) costituiscono invece il repertorio prevalente delle "Vanitas". Dall'incontro dei due temi sortisce un significato allegorico che ha un raro precedente iconografico nell'Amore dormiente di Luigi Miradori detto il Genovesino, opera conservata al Museo Civico "Ala Ponzone" di Cremona. La diffusione soprattutto nordica del soggetto della "Vanitas" ben si giustifica in un dipinto che si è supposto di scuola genovese, per i rapporti strettissimi che legano il capoluogo ligure, anche nel corso del Seicento, con l'Europa settentrionale e soprattutto con le Fiandre. Anche il carattere correggesco dello scorcio del putto appare perfettamente consono alla cultura ligure. Il riferimento a Valerio Castello non è tuttavia del tutto convincente: nonostante indubbie affinità, non si riscontra nel dipinto biellese la pennellata leggera e fluente del pittore genovese, così come lo sfumato tenero, che definisce le forme e avvolge le carnagioni. La materia pittorica dorata, luccicante e spessa del teschio, così come le pieghe brevi e ripetute del panno che copre sommariamente il putto addormentato, ricordano piuttosto la produzione di Bartolomeo Guidobono. Un teschio in tutto analogo è ad esempio presente ne "La Vergine, san Nicola da Tolentino e le anime del Purgatorio" della parrocchiale di Genova-Montoggio, concordemente datata agli ultimi anni del secolo; per una nutrita serie di putti ripresi di scorcio, al nostro strettamente imparentati, ci si può invece rivolgere alla scena mitologica affrescata su una volta dell'appartamento di Madama Felicita in Palazzo Reale a Torino. Una provenienza piemontese, legata quindi a uno dei due soggiorni a Torino del pittore savonese, non è in fondo da escludere e apparirebbe anzi coerente col carattere in gran parte locale della raccolta Masserano.