Inventario
Subfondo
Industria tessile biellese (acquerelli di Epifanio Pozzato)
Data: 1952-1954
Grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella è ora possibile consultare sul portale del Centro Rete Biellese Archivi Tessili e Moda la parte del "Fondo Pozzato" composta da tavole di soggetto tessile. Si tratta di 190 acquerelli dei quali sono riportati tutti i dati disponibili, inclusi i titolo o le didascalie originali dell'autore.
Una descrizione della "sezione tessile" degli acquerelli di Epifanio Pozzato è ben delineata da Bruno Pozzato nel suo contributo "Disegnare la lana: l’industria tessile “raccontata” da Epifanio Pozzato" inserito nel Bollettino DocBi Studi e ricerche sull’industria biellese, vol. 3 - Bollettino 2012, qui di seguito riprodotta integralmente.
L’iniziativa promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella nell’ottobre scorso, intesa a valorizzare gli acquerelli realizzati tra la fine del ‘70 e gli inizi dell’80 da Epifanio Pozzato sul tema dell’industria laniera, riporta l’attenzione su un patrimonio iconografico di sicuro interesse. Questi acquerelli vennero esposti per la prima volta alla “Fabbrica della ruota” di Pray nel 1984, in occasione della mostra “Archeologia industriale in Valsessera e Vallestrona”, con l’intento di “raccontare” attraverso le immagini quella che può essere definita la rivoluzione industriale laniera. Un racconto, appunto, non una favola. Epifanio Pozzato non poteva immaginare che le sue opere, parte cospicua della collezione d’arte di artisti biellesi raccolta a cura Fondazione CRB, avrebbero suscitato un tale interesse. Quando iniziò, in obbedienza al principio leonardesco secondo cui in arte «il disegno è tutto», Epifanio si proponeva di conseguire due risultati precisi: dipingere opere che si potessero collocare nel mondo dell’industria (ricavandone ovviamente un adeguato compenso) e raccontare con il linguaggio dell’arte la storia di una rivoluzione mettendone in luce le caratteristiche particolari emerse nel corso del suo sviluppo. Un progetto utilitaristico, illustrativo, se si vuole, ma anche un’opportunità ambiziosa: esplorare le ragioni della nascita, dello splendore e della decadenza d’un sistema fondato sul “valore lavoro”, elemento caratteristico della cultura biellese, tutta concentrata sulla concretezza, sul “fare”, sul lottare in armonia con la natura del territorio e le sue risorse di acque, pascoli e mano d’opera sempre più e sempre meglio specializzata. Questa sensibilità per il lavoro gli è state trasmessa da uno dei suoi maestri più cari e severi: Giuseppe Bozzalla, che in questo campo ha dipinto capolavori di grande respiro quali Lavoratori e Tra colori e vapori, per citarne soltanto due; la scelta di Bozzalla di dedicarsi all’arte anziché ad una carriera manageriale forse più redditizia lo opporrà alla sua famiglia di imprenditori lanieri. Egli viene dal ceto che ha partecipato alla rivoluzione industriale, che ha visto Biella e il suo interland trasformati in una Manchester d’Italia. Del lavoro non poteva che avere una concezione alta e nobile, persino mitica, sovraccaricata di significati etici e morali tali da porre in secondo piano la natura capitalistica del sistema. In genere l’artista figurativo privilegia il paesaggio, la natura; ama illustrare le montagne, i cieli, i mari, i villaggi e il senso misterioso e panico che queste immagini suggeriscono. Non sempre ha in mente “la condizione umana” nei suoi aspetti meno estetici (che invece Epifanio Pozzato traduce in segni, colori, simboli, con un gioco abile di luci e di ombre che ne sottolineano l’emotività esecutiva). L’artista si limita ad essere un testimone del proprio tempo, a volte però guardando indietro, al passato, alla tradizione. Non così Epifanio. Egli vive il fascino di questo sistema, frutto del razionalismo e della ragione, immerso nel verde delleaniano e rigoglioso delle vallate biellesi. Ne intuisce la storicità e la modernità: nel bene e nel male è il nostro progresso, ciò che siamo stati capaci di costruire nel corso di due secoli. L’artista osserva i segni della vita in tutte le sue manifestazioni. Vuole capire perché il lavoro “nobilita l’uomo” e, al tempo stesso, lo può umiliare, quasi rendere schiavo. Gli operai di Pozzato non si distinguono dai contadini che lavorano la terra o dagli artigiani che hanno avuto il telaio a mano in casa o nella stalla, oppure da quei pastori che fornivano la lana delle loro pecore. Ne disegna le vicende di fatica, di paure, di speranze, di dolore e di lotta che ogni cambiamento comporta. Gli acquerelli che ha proposto prima alla “Fabbrica della ruota”, come si è già ricordato, e più recentemente alla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella documentano tutto questo in maniera estremamente semplice e chiara. Dalle piole (osterie) alle piazze, davanti ai cancelli delle fabbriche, ecco gli operai, le operaie, gli scioperanti, i giocatori di carte, le proteste, le bandiere, i cartelli, le manifestazioni sindacali che rivendicano più giustizia sociale, una società impegnata nella costruzione di un mondo nuovo, “a misura d’uomo”, senza cadere nell’enfasi, nella retorica, nell’ideologia. La classe operaia biellese, che ha ancora un piede nel mondo contadino e in grande misura è proprietaria della casa in cui abita, possiede terreni e animali, è rivoluzionaria proprio perché crede nel riformismo proposto da protagonisti biellesi come il sindacalista Rinaldo Rigola e l’imprenditore Pietro Sella. Crede nei cambiamenti possibili, ragionevoli. Epifanio non è un politico, ma un artista; per questo riesce ad intuire, grazie alla sua sensibilità e grazie anche alle vicende della sua famiglia, la direzione verso la quale il “sistema Biella” si sta orientando. Di particolare interesse sono alcuni lavori all’acquerello quali Tessitura, telaio manuale e Tessitura, telaio meccanico. In questo racconto dell’avventura industriale biellese non potevano mancare queste due “macchine” appartenenti a epoche storiche diverse, ma non troppo lontane fra loro: il telaio a mano, più volte immortalato da Vincent van Gogh e da altri artisti del passato, e il telaio meccanico che fa segnare al tessile un salto qualitativo rivoluzionario. Secondo Franco Ramella, autore di Terra e telai, «il telaio meccanico aveva molte virtù, ma quella che più avrebbe colpito la fantasia dell’anonimo corsivista di “Eco dell’Industria” [...] fu che poteva essere anche guardato da una sola ragazza, e non più da tre o quattro. Anche dal punto di vista della produttività – preciserà – era superiore al vecchio strumento di lavoro; la media giornaliera dei colpi, cioè la inserzione di trama, era più elevata (12.500 contro 7.500 del telaio a mano); con gli anni e ulteriori perfezionamenti sarebbe arrivata a fine secolo a 18.000-20.000 colpi al giorno». Il destino ingrato degli operai: essere la classe più interessata al progresso, ma nello stesso tempo esserne vittima. Epifanio Pozzato è stato nell’arte ciò che è stato Franco Ramella nella storia. Il primo racconta attraverso immagini, il secondo ci accompagna attraverso lo scritto nella conoscenza dei momenti decisivi e particolareggiati dello sviluppo dell’industria tessile e della maturazione della classe operaia. In questo ambito non ci sono soltanto le tessitrici e i tessitori, ovvero l’aristocrazia operaia, ma un processo di emancipazione generale e delle donne in particolare; non tanto dal punto di vista salariale – le donne resteranno sottopagate rispetto agli uomini – quanto poiché protagoniste di primo piano dello sviluppo industriale del Biellese. Ma ecco il segno, per così dire, più “epifaniano” che anima i suoi acquerelli così stimolanti: in Tosatura delle pecore, per esempio. Alle origini della lavorazione della lana c’è questo passaggio dall’agricoltura e dalla pastorizia all’artigianato: i disegni Filatrici e Veglie rappresentano la fase pre-industriale di una lavorazione antica come l’uomo. Qui l’artista si sente a proprio agio, come quando – enfant prodige – si ispirava a Van Gogh, Cèzanne, Modigliani, Rosai, Morandi, Guttuso, Sironi... Già nella prima fase dell’industrializzazione tessile la donna è protagonista di una vicenda che si protrarrà sino ai nostri giorni, fino all’affrancamento dalla sua condizione di subalternità cui l’ha costretta il mondo antico. Quasi un’anticipazione di quel movimento moderno “Se non ora quando” che vedrà scendere in piazza, accanto alle tessitrici, intellettuali, attrici, casalinghe, professioniste di ogni disciplina e di ideologie diverse; Epifanio lo anticipa, appunto, in questi disegni straordinari e dai colori non invasivi. Proprio queste operaie, da lui tratteggiate con scrupolo psicologico e direi anche con amore, renderanno possibile, nella seconda metà del XX secolo, la vera rivoluzione industriale. In Operai all’uscita dalla fabbrica l’autore annota la stanchezza e il sonno di chi ha lavorato dieci, dodici ore al giorno. Ci vorrà ancora qualche decennio prima che si arrivi alla conquista delle otto ore. Gli anziani ricordano ancora il canto delle tessitrici: «Se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorar». Ecco ancora le proteste operaie nelle strade, sulle piazze, ai cancelli delle aziende. «Bene il lavoro», dicono in molti, «il lavoro nobilita l’uomo, ma solo se è libero. Ridurre la fatica delle persone è più importante di un titolo nobiliare». Il problema è: a quale prezzo? L’industria ha bisogno «di persone sane, forti, disponibili». Gli imprenditori biellesi più illuminati – questa è la convinzione di Pozzato – se ne fanno carico: «Per disporre di mano d’opera qualificata bisogna istruirla, assicurarle protezione dai rischi di malattie, dai possibili infortuni sul lavoro, da orari massacranti e da ritmi ossessivi; ha bisogno di case, di assistenza: scuole materne, asili, scuole professionali, campi sportivi»: non siamo ancora al riconoscimento di salari equi, ma ci siamo vicini. La mutua, le cooperative, le leghe di mestiere, i villaggi operai e tutti i servizi di supporto alle famiglie sono una testimonianza concreta di conquiste condivise grazie all’impegno di generazioni di operai, che non possiamo dimenticare.
BIBLIOGRAFIA
Alessandro Roccavilla, Giuseppe Bozzalla, Biella 1905
Vincenzo Ormezzano, Il Biellese e il suo sviluppo industriale, Varallo 1928
Pietro Torrione - Virgilio Crovella, Il Biellese. Ambiente uomini opere, Biella 1963
Francis Donald Klingender, Arte e rivoluzione industriale, Torino 1972
Angelo Dragone, Lorenzo Delleani, Biella 1974
Franco Ramella, Terra e telai, Torino 1984
Bruno Pozzato, L’industria nei dipinti di Epifanio Pozzato, in «Il coltello di Delfo», n° 10, Roma 1989
Claudio Napoleoni, Cercate ancora, Roma 1990
Claudio Gian Ferrari - Francesco Poli, Il colore del lavoro, Milano 1991
Giovanni Morelli, Il lavoro dell’uomo nell’arte di Goya e di Kandinsky, Milano 1991
Bruno Pozzato, Giuseppe Bozzalla, Biella 1992
Bruno Pozzato, Il mondo di Placido Castaldi: la vita i viaggi le opere, Biella 1994
Studi e ricerche sull’industria tessile, vol. 2°, Biella 2008
Gianni Vattimo, Heidegger e la filosofia della crisi, Roma 2011
Una descrizione della "sezione tessile" degli acquerelli di Epifanio Pozzato è ben delineata da Bruno Pozzato nel suo contributo "Disegnare la lana: l’industria tessile “raccontata” da Epifanio Pozzato" inserito nel Bollettino DocBi Studi e ricerche sull’industria biellese, vol. 3 - Bollettino 2012, qui di seguito riprodotta integralmente.
L’iniziativa promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella nell’ottobre scorso, intesa a valorizzare gli acquerelli realizzati tra la fine del ‘70 e gli inizi dell’80 da Epifanio Pozzato sul tema dell’industria laniera, riporta l’attenzione su un patrimonio iconografico di sicuro interesse. Questi acquerelli vennero esposti per la prima volta alla “Fabbrica della ruota” di Pray nel 1984, in occasione della mostra “Archeologia industriale in Valsessera e Vallestrona”, con l’intento di “raccontare” attraverso le immagini quella che può essere definita la rivoluzione industriale laniera. Un racconto, appunto, non una favola. Epifanio Pozzato non poteva immaginare che le sue opere, parte cospicua della collezione d’arte di artisti biellesi raccolta a cura Fondazione CRB, avrebbero suscitato un tale interesse. Quando iniziò, in obbedienza al principio leonardesco secondo cui in arte «il disegno è tutto», Epifanio si proponeva di conseguire due risultati precisi: dipingere opere che si potessero collocare nel mondo dell’industria (ricavandone ovviamente un adeguato compenso) e raccontare con il linguaggio dell’arte la storia di una rivoluzione mettendone in luce le caratteristiche particolari emerse nel corso del suo sviluppo. Un progetto utilitaristico, illustrativo, se si vuole, ma anche un’opportunità ambiziosa: esplorare le ragioni della nascita, dello splendore e della decadenza d’un sistema fondato sul “valore lavoro”, elemento caratteristico della cultura biellese, tutta concentrata sulla concretezza, sul “fare”, sul lottare in armonia con la natura del territorio e le sue risorse di acque, pascoli e mano d’opera sempre più e sempre meglio specializzata. Questa sensibilità per il lavoro gli è state trasmessa da uno dei suoi maestri più cari e severi: Giuseppe Bozzalla, che in questo campo ha dipinto capolavori di grande respiro quali Lavoratori e Tra colori e vapori, per citarne soltanto due; la scelta di Bozzalla di dedicarsi all’arte anziché ad una carriera manageriale forse più redditizia lo opporrà alla sua famiglia di imprenditori lanieri. Egli viene dal ceto che ha partecipato alla rivoluzione industriale, che ha visto Biella e il suo interland trasformati in una Manchester d’Italia. Del lavoro non poteva che avere una concezione alta e nobile, persino mitica, sovraccaricata di significati etici e morali tali da porre in secondo piano la natura capitalistica del sistema. In genere l’artista figurativo privilegia il paesaggio, la natura; ama illustrare le montagne, i cieli, i mari, i villaggi e il senso misterioso e panico che queste immagini suggeriscono. Non sempre ha in mente “la condizione umana” nei suoi aspetti meno estetici (che invece Epifanio Pozzato traduce in segni, colori, simboli, con un gioco abile di luci e di ombre che ne sottolineano l’emotività esecutiva). L’artista si limita ad essere un testimone del proprio tempo, a volte però guardando indietro, al passato, alla tradizione. Non così Epifanio. Egli vive il fascino di questo sistema, frutto del razionalismo e della ragione, immerso nel verde delleaniano e rigoglioso delle vallate biellesi. Ne intuisce la storicità e la modernità: nel bene e nel male è il nostro progresso, ciò che siamo stati capaci di costruire nel corso di due secoli. L’artista osserva i segni della vita in tutte le sue manifestazioni. Vuole capire perché il lavoro “nobilita l’uomo” e, al tempo stesso, lo può umiliare, quasi rendere schiavo. Gli operai di Pozzato non si distinguono dai contadini che lavorano la terra o dagli artigiani che hanno avuto il telaio a mano in casa o nella stalla, oppure da quei pastori che fornivano la lana delle loro pecore. Ne disegna le vicende di fatica, di paure, di speranze, di dolore e di lotta che ogni cambiamento comporta. Gli acquerelli che ha proposto prima alla “Fabbrica della ruota”, come si è già ricordato, e più recentemente alla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella documentano tutto questo in maniera estremamente semplice e chiara. Dalle piole (osterie) alle piazze, davanti ai cancelli delle fabbriche, ecco gli operai, le operaie, gli scioperanti, i giocatori di carte, le proteste, le bandiere, i cartelli, le manifestazioni sindacali che rivendicano più giustizia sociale, una società impegnata nella costruzione di un mondo nuovo, “a misura d’uomo”, senza cadere nell’enfasi, nella retorica, nell’ideologia. La classe operaia biellese, che ha ancora un piede nel mondo contadino e in grande misura è proprietaria della casa in cui abita, possiede terreni e animali, è rivoluzionaria proprio perché crede nel riformismo proposto da protagonisti biellesi come il sindacalista Rinaldo Rigola e l’imprenditore Pietro Sella. Crede nei cambiamenti possibili, ragionevoli. Epifanio non è un politico, ma un artista; per questo riesce ad intuire, grazie alla sua sensibilità e grazie anche alle vicende della sua famiglia, la direzione verso la quale il “sistema Biella” si sta orientando. Di particolare interesse sono alcuni lavori all’acquerello quali Tessitura, telaio manuale e Tessitura, telaio meccanico. In questo racconto dell’avventura industriale biellese non potevano mancare queste due “macchine” appartenenti a epoche storiche diverse, ma non troppo lontane fra loro: il telaio a mano, più volte immortalato da Vincent van Gogh e da altri artisti del passato, e il telaio meccanico che fa segnare al tessile un salto qualitativo rivoluzionario. Secondo Franco Ramella, autore di Terra e telai, «il telaio meccanico aveva molte virtù, ma quella che più avrebbe colpito la fantasia dell’anonimo corsivista di “Eco dell’Industria” [...] fu che poteva essere anche guardato da una sola ragazza, e non più da tre o quattro. Anche dal punto di vista della produttività – preciserà – era superiore al vecchio strumento di lavoro; la media giornaliera dei colpi, cioè la inserzione di trama, era più elevata (12.500 contro 7.500 del telaio a mano); con gli anni e ulteriori perfezionamenti sarebbe arrivata a fine secolo a 18.000-20.000 colpi al giorno». Il destino ingrato degli operai: essere la classe più interessata al progresso, ma nello stesso tempo esserne vittima. Epifanio Pozzato è stato nell’arte ciò che è stato Franco Ramella nella storia. Il primo racconta attraverso immagini, il secondo ci accompagna attraverso lo scritto nella conoscenza dei momenti decisivi e particolareggiati dello sviluppo dell’industria tessile e della maturazione della classe operaia. In questo ambito non ci sono soltanto le tessitrici e i tessitori, ovvero l’aristocrazia operaia, ma un processo di emancipazione generale e delle donne in particolare; non tanto dal punto di vista salariale – le donne resteranno sottopagate rispetto agli uomini – quanto poiché protagoniste di primo piano dello sviluppo industriale del Biellese. Ma ecco il segno, per così dire, più “epifaniano” che anima i suoi acquerelli così stimolanti: in Tosatura delle pecore, per esempio. Alle origini della lavorazione della lana c’è questo passaggio dall’agricoltura e dalla pastorizia all’artigianato: i disegni Filatrici e Veglie rappresentano la fase pre-industriale di una lavorazione antica come l’uomo. Qui l’artista si sente a proprio agio, come quando – enfant prodige – si ispirava a Van Gogh, Cèzanne, Modigliani, Rosai, Morandi, Guttuso, Sironi... Già nella prima fase dell’industrializzazione tessile la donna è protagonista di una vicenda che si protrarrà sino ai nostri giorni, fino all’affrancamento dalla sua condizione di subalternità cui l’ha costretta il mondo antico. Quasi un’anticipazione di quel movimento moderno “Se non ora quando” che vedrà scendere in piazza, accanto alle tessitrici, intellettuali, attrici, casalinghe, professioniste di ogni disciplina e di ideologie diverse; Epifanio lo anticipa, appunto, in questi disegni straordinari e dai colori non invasivi. Proprio queste operaie, da lui tratteggiate con scrupolo psicologico e direi anche con amore, renderanno possibile, nella seconda metà del XX secolo, la vera rivoluzione industriale. In Operai all’uscita dalla fabbrica l’autore annota la stanchezza e il sonno di chi ha lavorato dieci, dodici ore al giorno. Ci vorrà ancora qualche decennio prima che si arrivi alla conquista delle otto ore. Gli anziani ricordano ancora il canto delle tessitrici: «Se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorar». Ecco ancora le proteste operaie nelle strade, sulle piazze, ai cancelli delle aziende. «Bene il lavoro», dicono in molti, «il lavoro nobilita l’uomo, ma solo se è libero. Ridurre la fatica delle persone è più importante di un titolo nobiliare». Il problema è: a quale prezzo? L’industria ha bisogno «di persone sane, forti, disponibili». Gli imprenditori biellesi più illuminati – questa è la convinzione di Pozzato – se ne fanno carico: «Per disporre di mano d’opera qualificata bisogna istruirla, assicurarle protezione dai rischi di malattie, dai possibili infortuni sul lavoro, da orari massacranti e da ritmi ossessivi; ha bisogno di case, di assistenza: scuole materne, asili, scuole professionali, campi sportivi»: non siamo ancora al riconoscimento di salari equi, ma ci siamo vicini. La mutua, le cooperative, le leghe di mestiere, i villaggi operai e tutti i servizi di supporto alle famiglie sono una testimonianza concreta di conquiste condivise grazie all’impegno di generazioni di operai, che non possiamo dimenticare.
BIBLIOGRAFIA
Alessandro Roccavilla, Giuseppe Bozzalla, Biella 1905
Vincenzo Ormezzano, Il Biellese e il suo sviluppo industriale, Varallo 1928
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Angelo Dragone, Lorenzo Delleani, Biella 1974
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Bruno Pozzato, L’industria nei dipinti di Epifanio Pozzato, in «Il coltello di Delfo», n° 10, Roma 1989
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Giovanni Morelli, Il lavoro dell’uomo nell’arte di Goya e di Kandinsky, Milano 1991
Bruno Pozzato, Giuseppe Bozzalla, Biella 1992
Bruno Pozzato, Il mondo di Placido Castaldi: la vita i viaggi le opere, Biella 1994
Studi e ricerche sull’industria tessile, vol. 2°, Biella 2008
Gianni Vattimo, Heidegger e la filosofia della crisi, Roma 2011